invece che commentare là (anche perché ci sono arrivata un po' tardi) le impressioni di ilaria katerinov sul libro il mestiere di riflettere, e relativa polemica.
questo perché toccano un punto dolente per me che bazzico il settore (redazione sempre, traduzione quando ho tempo): se anni fa ero tutta contenta di leggere le interviste di ilide carmignani sul sito di alice (ora wuz), adesso... p. mi segnala l'uscita delle interviste in volume, e io: «bah, sì, però le ho già lette»; vedo uscire quest'altro libro, e mi dico: «ossignùr ci risiamo». reazioni tiepide dovute al fatto – lo covo da un po' e ora mi va di tirarlo fuori – che questi discorsi sul mestiere della traduzione spesso li trovo permeati di retorica stucchevole.
non dico tutti, non dico sempre, ma l'atmosfera che percepisco, anche navigando un po' sull'internet italiano che se ne occupa, è quella.
a urbino sono andata il primo anno, e lì pure non si scherzava. i seminari di mrs carter saranno diversi, ma l'aria che tira quando ne leggi è sospettosamente (calco dell'inglese?) familiare. per quanto io aneli a occasioni di studio e di confronto (mmm, sarò sincera: più di studio che di confronto, sono un po' asociale), a leggere le presentazioni di queste iniziative pare di dover entrare in una setta!
e non parliamo delle pur giuste rivendicazioni professionali dei traduttori: sempre più sovente le senti enunciare con un tono che trasuda paranoia (non esattamente la miglior premessa per un buon rapporto di collaborazione con gli editori, senza i quali, ricordiamolo, la traduzione come mestiere non esisterebbe proprio).
non è che mi voglio lagnare: ognuno ha il suo stile, personalmente (per restare alle interviste suddette, io prediligo quello di vincenzo mantovani), e mi auguro che le associazioni professionali esistenti in italia siano in sé più sobrie. però mi sento un po' a disagio e mi chiedo anche se – come – si possa fare «rete» tra colleghi senza cadere in questa trappola... stilistica.
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