«saggio sulla fine di una civiltà» che ieri sera a milano si è accalcata all'hangar bicocca (1200 persone secondo gli organizzatori – e secondo la questura? ci sarà pur stata, essendoci i carcerati...) provocandomi anche qualche piccolo attacco d'ansia da folla, durante l'attesa nell'atrio e poi nel prologo allo spettacolo, in un'anticamera ancora con le luci accese dove il pubblico era disgustosamente costretto a guardare se stesso mentre veniva perseguitato dalle risate di un amleto isterico e intanto cominciava a conoscere i personaggi della recita: molti issati su stivaletti fetisciosi, a cominciare dal coniglio (invece non trovo foto del bellissimo ragazzo con la gonnellina di cartapesta), altri in pianelle da servitore di corte. la corte è una corte settecentesca da amadeus, broccati pizzi e belletti rammentano in effetti le fiabe impolverate alla lindsay kemp. ma quando si aprono le porte dell'hangar vero e proprio dove si innalzano i palazzi di kiefer, ogni spettatore può trovare il proprio teatrino – più amleto, più alice, più amleto –, assembrarsi attorno alle attrazioni maggiori riprendendole pazzamente con il telefonino o vagare sperduto sotto le macerie. parole e musica rimbombano in un frastuono effettivamente apocalittico, ti rassegni a coglierne lacerti (magari leggendo parole di shakespeare sotto i tuoi piedi) e alla fine anche quelli si sbriciolano – restano le facce.
tutto molto nelle mie corde, ma viene il dubbio che se anche gli spettacoli dei detenuti oggi parlano di alice nel paese delle meraviglie... siamo davvero alla frutta?
recensioni di rappresentazioni precedenti (ci trovate pure i discorsi sensati sul potere e sulla libertà):
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