da queste parti ogni tanto si parla delle proprietà dei nomi: continuo con una nota ispirata da un post di palmasco (scritto in appendice a una riflessione a più voci su quello che si dice nei weblog e come lo si dice) a proposito dei nickname e della possibilità che celino soltanto una pusillanime volontà d’anonimato.
ci pensavo un po’ di tempo fa, leggendo su nazione indiana due vecchi interventi di carla benedetti (1 e 2, giugno 03) sulla valenza «politica» del nickname nei weblog, tema contiguo a quello che ora torna qui: a parte il fatto che nei blog italiani il fenomeno salta all’occhio perché i nick sono spesso strani (mentre nel web angloamericano si usa più di frequente un/il nome proprio, anche se si omette il cognome), non credo che questa scelta indichi automaticamente uno scarso senso di responsabilità verso quello che si scrive, né un insensato adeguarsi a un costume. a me sembra normale che il weblog rappresenti per i più un eteronimo, e normale invece che si firmi con nome e cognome chi nei weblog esercita un’attività omogenea alla sua vita quotidiana (o tiene un sito informativo in cui fa parte dell’informazione dire da che persona fisica viene). per questo non ha in effetti molto senso che marsilioblack si firmi marsilioblack (questo era uno degli esempi di CB), mentre ha senso che chi vuole sperimentare la forma di comunicazione e di elaborazione di contenuti del blog senza essere influenzato dalla sua «prima» identità lo faccia con un nickname. è chiaro, no? il soggetto implicito è diverso, che il nome sia diverso è solo una conseguenza – anche se stimolata, al suo nascere, da un istinto di difesa da occhi indiscreti (quelli di chi ci conosce).
ma l'eteronimia è l'anima della letteratura e della cultura, o sempi, se non l'avete ancora capito! del resto pessoa docet... e anche Dante e Omero e tuttli glialtri dell'allegra brigata.
Scritto da: avi | giovedì, 21 ottobre 2004 a 12:13