è una parola che ho trovato per la prima volta nel libro di cui parlavo ieri. marc-alain ouaknin ci ha scritto un altro libro (bibliothérapie: lire c’est guérir, seuil 1994), per mostrare «in quale modo la lettura e l’interpretazione aiutino a sciogliere i nodi del linguaggio e anche quelli dell’anima» e «l’esistenza di una forza del libro i cui effetti sono preventivi e curativi; un lavoro di apertura che consiste nel riaprire le parole ai loro significati molteplici e evidenti, consentendo di sfuggire alle chiusure e alla stanchezza per inventarsi, vivere e rinascere a ogni istante». un po’ enfatico, ma affascinante. la parola «biblioterapia», in realtà, è diffusissima in america per indicare una cosa un po’ più banale, ovvero un metodo didattico e di aiuto alla persona (o autoaiuto) che utilizza la lettura di libri adatti. online ho trovato un’altra segnalazione: un bell’articolo di biblioteche oggi parla a lungo del libro di jorge larrosa la experiencia de la lectura (laertes 1998) che descrive una biblioterapia «separata dalla tradizione censoria, ordinatoria, comminatoria di matrice scolastica» (il contrario del metodo americano); è invece «una somministrazione omeopatica e involontaria» «che lavora molto al di sotto della soglia di visibilità e di consapevolezza»; «la lettura disfa di notte quello che la memoria ha costruito di giorno, e compie un lavoro terapeutico che in molti casi è vicino a quello del sogno e del sonno». insomma, il valore psicologico, formativo e trasformativo della lettura va molto al di là del contenuto del libro.
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