potete puntare i feedreader su http://todrownarose.com, nel remoto caso che ci scriva qualche cosa (caveat: potrebbe anche diventare un blog sui tarocchi).
di qua chiudo i commenti, a fine marzo il blog regredisce a un triste template gratuito e prima o poi lo oscurerò, mentre google si accorge dell'indirizzo nuovo e faccio l'ingrato lavoro di aggiustare i link interni (guarda cosa non si fa per la passione degli archivi - passione per i link in ingresso invece, non pervenuta).
un riassunto del rock mancuniano dal punk al post-punk a madchester avrebbe avuto luogo nella pianura friulana. premessa per una spedizione con qualcosa di assurdo e inevitabile (nonché una riscossa del mio entusiasmo per i concerti vagamente in declino). ad azzano decimo avrei dovuto chiedere in giro chi fosse l'anima gemella/mente malata, insomma il curatore, responsabile di aver introdotto – in un festival già eterogeneo – l'alienitudine di questi inglesi del nord non meramente deviati da un tour già in atto ma attivamente deportati tutti assieme dentro l'assolato weekend di un piccolo paese italiano per collegarli a tanti speaker con il marchio di un noleggio musicale di pordenone.
io e p si pensava di doverci mescolare a una folla assiepata, di dover affrontare attese in piedi, di dover un po' soffrire per il privilegio di vedere buzzcocks, the fall e inspiral carpets nella stessa sera (privilegio dubbio per via dei set inevitabilmente corti, ma va be'). invece:
così fino a 15 minuti prima del concerto. poi pubblico variabile dalle 50 persone fino a non più di... 300? 500? mah. pubblico dunque strettamente locale, immagino. zero aura da festival, ma alcune magliette topologicamente corrette: 1 degli smiths, 2 dei joy division (vincono comunque le magliette dei black flag, che ci sono sempre: 3 compresa quella di p).
ma passiamo all'aggiornamento, ovvero quello su mark e. smith. che ha cinquantasette anni ma ne dimostra settanta. che arriva piuttosto elegante portando un quaderno/cartelletta di fogli manoscritti e sul grande palco si aggira incessantemente sfogliando i fogli, manomettendo gli altoparlanti, abusando dei microfoni, blaterando i suoi proclami come un predicatore inascoltato e incompreso (chi ci capisce mai nulla, tantomeno gli italiani), scambiando cenni d'intesa con la sua band dedita nel frattempo a costruire l'ossessione sonora che è the fall, dai due batteristi sull'orlo dell'attacco cardiocircolatorio a mrs smith impassibile alla sua minitastiera korg con tacco a spillo bianco e tre borsette (avevo già notato nei video che quando suona all'aperto tiene la borsa in spalla; stavolta ne aveva una grande, una a tracolla media e una piccolina che appendeva al supporto del sintetizzatore).
niente, una macchina da guerra che suona implacabile pur nella ristrettezza temporale del set. fosse durato di più, a momenti mi spodestava gli swans per il titolo questo-non-è-un-concerto-è-un'esperienza-mistica.
totalmente enigmatico ma non ostile, persino sorridente, MES appare dimesso nell'agire sul palco ma assai soddisfatto della sua creatura sonora, tribale e ipnotica quanto le parole che l'accompagnano rimangono ostiche e solipsistiche.
prima si era pure seduto un po' con il quaderno su quella sedia rossa, pareva un insegnante che corregge i compiti in classe. il tamburo a destra l'ha rovesciato lui.
il concerto visto da un forumista
il concerto visto da un profano
di fianco a me in prima fila si era insinuato un ragazzino che manifestamente apprezzava il concerto nonostante la giovanissima età. a un certo punto però mi ha chiesto: «ma è ubriaco»?
(a occhio e croce l'ottavo dall'89) potrebbero/dovrebbero farci riflettere sul tempo che passa, ma qui siamo abbastanza allergici a tali bilanci.
il blog – di cui sto rivedendo gli archivi per eliminare link obsoleti ecc. – è in standby per motivi sia di rete sia miei: per condividere un link c'è twitter; per una breve notazione di vita quotidiana c'è instagram (e mai che io riesca a integrare bene tutti questi feed); per mettere nero su bianco riflessioni più approfondite non è il momento (se il cervello fosse una batteria, sarebbe in una fase di accumulo senza ridistribuzione). l'archivio però mi serve, l'archivio è essenziale. internet sarà anche bello per scambiarsi istantanee, ma io lo preferisco sempre come biblioteca infinita.
di nick cave già si favoleggiò:
qua (sempre all'alcatraz, 2004)
qua (che poi era il concerto semiacustico di modena – garnant, dove sono i tuoi archivi di splinder? :-))))
e qua (nel frattempo è pure spuntato il video del concerto del 92, che si vede anche Blixa fumare sul palco)
insomma non lo vedevo da otto anni abbondanti e nel frattempo mi è passato qualsiasi snobismo: concerto favoloso. se fossi un tipo più espansivo avrei gridato delle cose al mio adorato barry adamson, che mai avrei pensato di vedere in carne e ossa e invece eccolo lì.
scaletta di milano:
We No Who U R
Jubilee Street
Tupelo
Red Right Hand
Mermaids
The Weeping Song
From Her to Eternity
West Country Girl
God Is in the House
Into My Arms
Love Letter
Higgs Boson Blues
The Mercy Seat
Stagger Lee
Push the Sky Away
We Real Cool
Papa Won't Leave You, Henry
Deanna
Do You Love Me?
the ocean at the end of the lane by neil gaiman is not an especially well written book, I thought while reading it last summer (maybe I was bothered by some repetitions, I am that way inclined). but, being maybe a little more conventionally, even “commercially” written to my ear than some of his older work,* it made me see what really strikes me in his novels and stories: a unique grace in making imagination meet reality, fishing deep in personal, vivid feelings while using well-loved props and figures from fantastic literature. whether it's in a more carefully crafted or a more script-like writing, nothing like a neil gaiman book makes my mind travel in a new world while feeling so much (and not safely) at home.
this time, I found a bit of ocean that was quite literally about me. not just the general idea of a childhood spent reading, with obscure fears lurking in the shadows; that would be much too easy. no, it's the specific bit about living in an old house and liking it because it looks like something from the books you read, and climbing in and out of windows because that's what happens in the books you read. that I used to do – and climbing trees had the same appeal in spite of my non-athletic nature – exactly for that reason. I read ocean and it came back to me, the moment in time when I started to value real life things according to my own mind system, picking up not from examples around me, but from a larger cultural universe. that's when my inner life began (and my social life ended, possibily). and that does lead you to think of life and death in a slightly different way, you know.
so happy that garnant wrote this, so I don't have to (Internet reading and commenting is playing with mirrors in a way).
* I thought this also because, just after reading ocean, I picked up the bridge by iain banks (I had been wanting to read him for ages, how typical of me to start doing it after he's gone): the splendidly polished literary prose is there, but I still have to find a hook drawing me inside the story. I hope I will.
«You can't grasp your legacy when alive, and it makes no difference in death. What if I leave behind no record? What if I let every day vanish? If I don't archive anything, am I free to change?»
Tavi Gevinson
More than ten years ago, at the National Gallery in London, I purchased a mouse mat depicting a fascinating detail from a Flemish painting (I've never seen the actual painting though).
It is still my mouse mat at work, but only today I discovered there is a whole (regularly shaped) book devoted to this subject:
«The notion of the heart as a "book" containing a person's thoughts, feelings, or memories is one of most prominent forms of heart symbolism in the Middle Ages. In romances, lovers' hearts were inscribed with the name or image of their beloved, while saints' legends celebrated martyrs whose hearts received marks of special divine favor. Clergy were instructed to let their inner scribe copy God's commands onto the pages of their hearts, and ordinary believers prayed for Christ to write the memory of his Passion in their "heart books." Artists portrayed authors holding a heart and a pen, and some late-medieval paintings depicted the sitter as a scribe or reader holding a heart-shaped manuscript codex. Medieval artisans even produced actual heart-shaped manuscript books, some of which still survive.»
Eric Jaeger
the Master of the View of Sainte Gudule:
The Metropolitan Museum of Art, New York
di uwe johnson, a cura di luigi reitani, SE, milano 1988: un libro raro? (una ventina di copie in altrettante biblioteche, neanche una copia su ebay, neanche una su maremagnum.)
se lo vedete in giro, fatemi un fischio.
l'eau de mon regard n'était pas encore obscurcie; depuis, chacun des jours y a jeté sa pincée de cendres.
(michel butor, l'emploi du temps)
forse si sveglierà se ritorna la guerra fredda o qualcosa del genere.
sporadici aggiornamenti su instagram